Lo sport come bene comune: tra politica ed educazione

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Emanuele Isidori
Mascia Migliorati
Claudia Maulini

Abstract

Nel discorso etico e politico contemporaneo, il “bene comune” si presenta spesso come un concetto retorico caratterizzato da affermazioni assai generali e metafisiche che viene di volta in volta definito in modi tra loro diversi a seconda della prospettiva scientifica che viene assunta per definirlo. Il bene comune è ormai oggetto di studio da parte delle scienze umane e sociali. La scienza politica, la sociologia, la giurisprudenza, la filosofia e l’economia sembrano essere le scienze che si sono più interessate al bene comune negli ultimi anni. Recentemente, anche la pedagogia ha cominciato a teorizzare, secondo la prospettiva propria della sua epistemologia, questo concetto partendo soprattutto dall’educazione identificata come bene per eccellenza. Anche la teologia – soprattutto quella cattolica – si è occupata dei beni comuni fino al punto che una parte della loro teorizzazione e “filosofia” a partire dal XX secolo è stata influenzata proprio dalla teologia e dalla dottrina della Chiesa Cattolica.


Quello di “bene comune” è un termine e un concetto che sfugge a una serrata teorizzazione e, quando si affronta, sembra trasformarsi in un pretesto per disquisire di problemi che caratterizzano le società complesse. Questi problemi sono quelli del welfare, della cittadinanza, dell’uguaglianza, della parità di genere, dei diritti, dell’accesso alle risorse, dell’equità nella distribuzione delle ricchezze. Le problematiche dei beni comuni rimandano di fatto a questioni inerenti l’etica, la salute, il lavoro, il multiculturalismo, l’integrazione sociale, la pace, la democrazia, il tempo libero, ecc. Spesso le questioni dei beni comuni vengono analizzate utilizzando punti di vista legati a due interpretazioni culturali che sembrano continuare a rimandare ancora oggi a due grandi interpretazioni – certamente non sempre così nette e definite – che sono quelle del neoliberismo da una parte e del marxismo dall’altra, con visioni nella fruizione dei beni comuni che oscillano tra individualismo e comunitarismo/socialismo.


Recentemente, anche lo sport, sulla scorta di interpretazioni che vedono in esso un capitale umano e un insieme di diritti, è stato considerato, per una molteplicità di ragioni, un bene comune tra i principali che devono essere promossi dalle società democratiche. Lo sport infatti è visto oggi come parte integrante e imprescindibile di quella fruizione della cittadinanza che rappresenta l’obiettivo stesso della democrazia. Del resto lo sport non è visto oggi solo come la cartina da tornasole del livello di sviluppo raggiunto da una determinata società ma anche come il parametro dei diritti conseguiti e fruiti da parte dei suoi cittadini. Lo sport è portatore di per se stesso di beni intrinseci che spetta agli agenti educativi e sociali estrinsecare e implementare.


Lo sport del resto si trasforma in un bene comune quando i suoi valori – che sono legati al sistema dei diritti umani, sociali ed educativi connessi alle risorse che una società mette a disposizione dei suoi cittadini – vengono diffusi e fruiti senza discriminazione garantendone a tutti l’accesso. Il concetto di “sport per tutti”, che in Italia si è cominciato a diffondere già negli anni Cinquanta del secolo scorso, rappresenta l’essenza stessa del concetto di sport come “bene comune” che contribuisce, diventando parte dell’educazione umana, alle politiche per la vita e la salute umana. La nostra analisi in questo saggio ha lo scopo di sviluppare una riflessione sullo sport come bene comune e di comprenderne le ragioni e i valori sulla base di un previo confronto con la teoria dei beni comuni in una prospettiva filosofica generale.

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Saggi

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