Fuggire dal lavoro per sopravvivere: quale pedagogia per vivere?
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Abstract
Stiamo assistendo a una nuova fuga dal lavoro. Diversamente dal passato, non per eliminarlo e rivoluzionare il mondo, ma per sopravvivere, sottraendosi a un sistema deleterio, che prosciuga la vita. I dati sulle così dette “grandi dimissioni”, avviate nel 2021, ci parlano di un fenomeno mondiale, non localizzato, comprendendo l’anomalia del caso italiano, paradossalmente soggetto a elevati tassi di disoccupazione. E raccontano di una fuoriuscita di massa, dalle proporzioni gigantesche. Gli studi sul fenomeno, invece, confermano il senso di repulsione accompagnato dalla volontà di porre fine a dinamiche disumanizzanti. Terminata la stagione del patto sociale fordista e iniziata una fase di graduale mancanza di tutele, di deregolamentazione dei diritti, di diffusa precarietà e di paghe non adeguate, il coinvolgimento dei dipendenti è progressivamente transitato nell’alveo delle narrazioni sull’engagement dei lavoratori, nutrito dall’“amore con naturale sacrificio” per il marchio e per il datore di lavoro. È ora di ripensare pedagogicamente il lavoro e il suo senso, a partire dalla dimensione bilaterale e comunitaria di un impegno eticamente inteso, al servizio delle persone e dei loro desideri di riconoscimento e crescita umana. La pedagogia del lavoro può aiutare ad abbattere questo muro, restituendo linfa vitale a una legittima aspettativa.