Curre et labora. Tra precarizzazione e pedagogia della flessibilità: chi vive di lavoro?
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Abstract
La provvisorietà, cui si associa l’elogio della rinascita e della capacità di reinventarsi, è data dalla nuova morfologia del lavoro e dalla sua crescente immaterialità, dalla nuova piramide sociale del mondo del lavoro che, ad un vertice ultraqualificato, oppone una base in cui sono in costante crescita l’informalità, la precarizzazione e la disoccupazione; nel mezzo, una fascia mobile, destinata a scomparire con le intermittenze del mercato e delle tecnologie, qualificata a tempo. Mentre il vertice, globalizzato, universale, gode appieno del diritto al movimento, la maggioranza della popolazione vi è costretta, senza attingere ai benefici: la relazione con il territorio invece ne è depauperata, l’agentività dei soggetti appare sempre più circoscritta o, per reazione, si ingenerano fenomeni di distacco volontario dal mondo del lavoro, in una linea discontinua che non connette più mezzi di sostentamento e tempo del lavoro. Il presente contributo si propone di esplorare la linea d’ombra che si disegna tra l’apologia dell’individuo in movimento, l’homo mobilis, e la possibilità di permanenza di comunità politiche: di fronte alla pedagogia della flessibilità che viene imposta, ci si interroga sui reali confini del libero arbitrio e sulle possibilità di recupero dei processi di costruzione del sé e di rappresentazione dell’altro.