Educare alla finitudine: riflessioni pedagogiche e percorsi di death education
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Abstract
Hidegger in Essere e Tempo scriveva: “L’abbandono di fronte alla cose e l’apertura al mistero appartengono l’una all’altra. Esse ci offrono la possibilità di vivere nel mondo in un modo compiutamente diverso, ci promettono un nuovo fondamento” (Hidegger, 1959). Un passo che sottolinea l’importanza dell’accettare la vita, accettarne la sua temporalità e il poter guardare “l’ombra che l’accompagna”: la morte (Fadda, 2003). Come sostiene Ciuffi la riflessione sulla morte pertiene alla pedagogia, come educazione del senso del limite, della finitudine, della caducità umana (Ciuffi, 2018). Ma oggi manchiamo di una riflessione sulla morte, non abbiamo la forza o la volontà di pensarla, e “dirla nella sua radicalità ontologica, perché troppo scandalosa e scomoda” (Roveda, 2005). L’articolo muovendo dal quadro teorico esplicitato affronta il tema, complesso, di come l’educazione possa aiutare i soggetti in formazione ed in particolar modo gli anziani, ad essere più consapevoli e competenti (a livello emotivo e cognitivo) nella gestione della propria o altrui morte (Bobbo, 2009). Vecchiaia, malattia, decadenza fisica, sembrano componenti della vita non più rappresentate in una società ossessionata dal giovane e bello; in una cultura dei consumi, che valorizza al massimo grado la gioventù e l’efficienza fisica, i vecchi sono percepiti come una presenza marginale, incongrua: “essere anziani é un’inabilitazione, perché rappresenta la limitatezza dei desideri, la moderazione dei bisogni, l’insensibilità alle seduzioni del mercato: insomma… é un anatema” (Bauman, 2004). L’articolo illustra gli orientamenti dell’andragogia verso un approccio gerotrascendente della vecchiaia che accompagni la persona verso la consapevolezza piena e serena della propria caducità approfondendo, anche per le nuove generazioni, percorsi di death education.