Corpi “divergenti” e orizzonti formativi di libertà

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Rosa Gallelli

Abstract

Nell’ambito dell’architettura biologica della nostra specie, lo scambio coevolutivo col mondo si traduce in una dinamica di ibridazione che costituisce il suo principale dispositivo di adattamento: ibridazione intesa tanto nel senso delle trasformazioni che il soggetto imprime al proprio ambiente fisico e simbolico, attraverso le modalità della tecnica, quanto nel senso delle trasformazioni che contrassegnano l’intelligenza e l’affettività dell’uomo e della donna, le loro architetture cerebrali e i loro assetti conoscitivi ed esperienziali.


Incrociando, in particolare, gli studi di Pedagogia, di Etologia, di Neuroscienze e di Biotecnologia e adottando l’inquadramento dato dal paradigma della complessità e dal problematicismo pedagogico, l’originale legame tra corpo e mente appare il fulcro della tensione tras-formativa che contraddistingue lo stare al mondo del soggetto umano e la sua apertura ibridativa all’apprendimento, alla conoscenza, alla relazione con le alterità.


Tale apertura ibridativa si manifesta oggi, quanto mai prima, in una corporeità attraversata per intero dalle cifre simboliche e materiali di una evoluzione tecno-scientifica potentemente dispiegata.


Su questo sfondo concettuale, appare altamente problematico l’impatto esercitato sui processi formativi   dalle narrazioni che sostengono la reificazione, stigmatizzazione e svalorizzazione delle soggettività che si allontanano dagli standard codificati da un criterio assiologico che tradizionalmente distingue il normale dall’anormale e, conseguentemente, gerarchizza gli individui e i gruppi a seconda della loro posizione di vicinanza al modello prescritto come desiderabile. Quelle soggettività divergenti rispetto agli standard estetici ed esistenziali, talora anche soggettività fragili in quanto caratterizzate da atipicità fisiche e/o mentali o anche infragilite dai segni dello scorrere del tempo cronologico e biografico.


In particolare, antichi e sedimentati stereotipi interpretano difettivamente le persone fisicamente e/o neurologicamente e/o mentalmente atipiche attribuendo loro lo stigma della fragilità, della instabilità emotiva e del bisogno di cura intesi come elementi che allontanano dal modello ideale di individuo celebrato dalla tradizione del pensiero occidentale. Difatti, il costrutto paradigmatico di identità personale valorizza tutt’altre qualità: la indipendenza, il logos, la prestanza abile. È tale modello ideale di individuo (di cui, d’altra parte, le molteplici crisi del Novecento hanno avviato lo sfaldamento) che ha destinato i corpi e le menti delle persone con disabilità a una lunga storia di pesante svalorizzazione, scandita da politiche di violenza e sottomissione, di controllo, occultamento, esclusione e segregazione. Politiche rispetto alle quali le istituzioni formative hanno svolto per lungo tempo una azione di conferma e rafforzamento. È noto quanto le persone con disabilità siano state oggetto di un pregiudizio aberrante che le ha tenute lontano da ogni forma di istruzione ma è forse meno evidente quanto, ancora oggi, nelle nostre società dell’inclusione, tale pregiudizio permanga talora sottotraccia compromettendo il loro percorso di studi o orientandolo verso scelte scolastiche e universitarie non volute che le porteranno a occupare posizioni e ruoli subalterni in ambito lavorativo e sociale.


Ciò chiama in campo una progettualità pedagogica e didattica in grado di promuovere, per un verso, la decostruzione critica dei modelli prescritti dalla logica dell’apparenza e della mercificazione, che esalta l’efficienza, il vigore, la bellezza del corpo giovane; per altro verso,  esperienze formative di soggettivazione che - di là da qualsiasi approccio assiologico e stigmatizzante sui corpi “divergenti” dalle tipicità interpretate come “normali” e di là anche da approcci stigmatizzanti sui modi diversi di vivere e di esprimere il proprio essere corpo vivente – siano contrassegnate da una irriducibile libertà di scelta e di esistenza.

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Sezione
Saggi