Carlo Maria Martini, nel suo Viaggio nel Vocabolario dell’Etica, scrive che: “L’espressione ‘bene comune’ si compone di due parole: bene e comune. Bene significa il complesso delle cose desiderate che vorremmo augurare a noi e alle persone cui siamo legati. Comune deriva probabilmente dal latino cum munus che vuol dire compito fatto insieme, adempiuto insieme”. Il bene comune è, dunque, ciò che è patrimonio di tutti o, ancor meglio, ciò che garantisce e favorisce “il benessere e il progresso umano di tutti i cittadini”. Ampliando questa definizione, in una conversazione su RAI Filosofia, Stefano Rodotà ha sottolineato come i beni comuni esprimano i diritti inalienabili “che non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato”, includendo il diritto alla vita e anche il diritto alla conoscenza, specificamente, in rete. Proprio la rete è, poi, uno dei beni comuni di ultima generazione che – contrariamente al passato, quando ancora le relazioni erano limitate da materiali variabili spazio/temporali – è oggi è “un bene che implica la condivisione e la partecipazione attiva nella produzione di conoscenza. Ciò implica che non può essere privatizzato né sottoposto a restrizioni”.
Il bene comune è, più in generale, un concetto-sistema valoriale che si richiama a un umanesimo che non può incancrenirsi in personalismi e che, invece, richiede una ri-lettura in chiave ecologica e g-locale della fenomenologia della relazione uomo-mondo, richiamandosi non solo al principio di giustizia ma anche a quello di solidarietà.

Pubblicato: 2017-12-01

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