La società della rimozione: pedagogia tra dolore, fragilità e attesa di riconoscimento
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Abstract
La nostra società è costantemente impegnata a rimuovere il dolore, così come la morte e la sofferenza, estraniando così il senso della vita e della sua possibile bellezza. Questa rimozione è accompagnata da un linguaggio che aliena la fragilità e la debolezza, riconoscendo, al contrario, la forza, l’arroganza, la violenza e la sopraffazione come costituenti di nuovo (?) modello antropologico che segna le relazioni umane, sociali e politiche e può ispirare le nuove generazioni. Sono costantemente presenti nella vita quotidiana tracce di questo modello antropologico che affonda le sue radici nella paura della morte e nella tragica constatazione della fragilità della vita e della finitudine umana. Questo misconoscimento della fragilità, però, ha come risultato il rischio della impossibilità di una vita autentica e di una realizzazione realmente umana che non può avvenire che a partire dall’assunzione della vulnerabilità come fondamento del proprio farsi. La fragilità, infatti, è connotazione ontologica dell’essere umano senza la quale non è possibile ammettere alcun processo di autenticazione e umanizzazione: così l’essere umano resta in attesa del riconoscimento di questa fragilità come essenza del discorso e del linguaggio pedagogici. La pedagogia deve rispondere a questa attesa che comporta l’assunzione di una idea complessa di fragilità che ne comprenda le differenti sfaccettature. In questo contributo, ci chiediamo se è possibile pensare a una pedagogia che sia capace di promuovere un’antropologia della fragilità umana come punto di partenza per la costruzione di un orizzonte di speranza umana e sociale, come via per la creazione di una società che fa la differenza anziché generare indifferenza. Tale percorso muove dalla consapevolezza che si tratta di una prospettiva che è di per sé fragile sia perché fragilizza la pedagogia stessa, mettendola in crisi, sia perché può apparire già sconfitta dalla più arrogante pedagogia della forza, della “virilità”.